Un documento infelice

di Almerigo Apollonio

La critica al documento firmato dagli storici italiani e sloveni parte anzitutto da alcune considerazioni di carattere preliminare. Il "testo concordato" infatti

1) Assume le caratteristiche di un manuale ufficiale di storia e, in quanto tale, pretende di esprimersi in forma definitiva su di un periodo altamente controverso. In considerazione del suo peso politico, può rappresentare - contro ogni buona intenzione - una coartazione di fatto alla libertà di ricerca, su entrambi i versanti del confine giuliano.

2) Parte da premesse in buona parte superate. Tali sono, ad esempio, le impostazioni storiografiche imperniate sugli antichi entusiasmi per la rinascita a vita democratica dei "Popoli senza storia" e per l'abbattimento dell'Impero asburgico, presunto responsabile d'ogni coartazione delle nazionalità. Una storia critica dei diversi movimenti nazionali è oggi d'obbligo.alla luce degli svolgimenti successivi e delle ripetute tragedie interetniche

3) Trascura una visione "a tutto campo" del fenomeno più importante che abbia coinvolto l'area della convivenza italo slovena dal 1918 al 1991, l'esistenza incombente della Jugoslavia, una compagine statale avente caratteristiche del tutto peculiari, e principale responsabile, nel bene e nel male, del espansionismo slavo, non solo verso Occidente.
Si può rimediare agli errori soltanto ove si intenda:

Ad 1) Attestare pubblicamente che il "manuale concordato" costituisce una pura ipotesi di lavoro, senza alcuna pretesa di indirizzare consequenzialmente la ricerca futura.

Ad 2 ) Riconoscere la necessità di una revisione di tutta la storiografia concernente l'Impero asburgico e gli Stati Successori. Riconoscere in particolare l'utilità di un esame critico di tutti i movimenti nazionalisti sorti nell'area ex asburgica, per valutarne le motivazioni e l'evoluzione, anche in connessione con gli sviluppi sociali interni delle rispettive comunità. Di ogni movimento nazionale sarà opportuno, ormai, rivedere la storia dal 1900 al 2000. A tutti deve essere richiesto lo sforzo autocritico che ha impegnato la storiografia italiana nell'ultimo mezzo secolo, nei confronti del proprio passato.

Ad 3) Rivedere il testo, per gli anni 1880-1941, dopo aver adeguatamente esaminato
a) il significato imperialistico del cosiddetto trialismo in età asburgica;
b) la portata espansionistica, fin dall'origine, delle tesi jugoslavistiche;
c) la prassi espansionistica presente nella storia jugoslava dal 1918 in avanti;
d) il carattere imperialistico del comunismo titoista;
e) la portata oppressiva dello jugoslavismo sui popoli e sulle culture sloveni e croati.

E' necessario si abbandoni definitivamente l'antistorica premessa di un imperialismo italiano, quale unica causa di turbativa della pace e della quieta convivenza tra i popoli, tra l'Isonzo e le Alpi Giulie. A tal fine è indispensabile un analisi comparativa della vecchia tesi sull'assoluto predominio egemonico della campagna sulle città, ancora avanzata da qualche parte (colonna tre del testo riportato sul "Piccolo"), con la componente dell'ideologia nazista riassumibile nella formula "Blut und Boden", di poco felice memoria.

Di contro proponiamo un riesame della storia regionale sotto i seguenti punti di vista:
1) Convivenza millenaria degli italiani e degli sloveni nello stesso territorio, con tendenza all'ampliamento ma anche all'arretramento delle rispettive zone di prevalenza, numerica o culturale, di secolo in secolo.
2) Reciproche influenze italo-slovene ed influssi di altre componenti nazionali attive nella nostra area.
3) Tradizionale rispetto reciproco dei valori culturali, intesi nel senso più lato (come non citare la difesa degli sloveni da parte del Rossetti nel mal noto Zur Mnemosyne des Herrn Joseph Kreil ?).
4) Differenze e convergenze di carattere religioso tra le due nazionalità.
5) Differenze e convergenze nella partecipazione al movimento liberale ottocentesco.
6) Differenze e convergenze nella partecipazione ai movimenti cattolico-dinastici e successivamente ai partiti cristiano-sociali. Mutui appoggi elettorali dei due movimenti nel goriziano ed in Istria.
7) Differenze e convergenze nella partecipazione ai movimenti socialisti. Confluenze elettorali.
8) Alleanze politico-amministrative italo-slovene, anche tra liberali e cattolici.
9) Influsso del mito trialista sul movimento nazionale sloveno.
10) Posizioni dell'irredentismo italiano nei confronti del movimento nazionale sloveno prima e dopo l'affermarsi del mito trialista.
11) Esistenza o meno di un movimento sloveno mirante alla completa indipendenza prima del settembre 1918.
12) Influsso del mito jugoslavo sulle posizioni nazionaliste slovene.
13) Atteggiamento delle varie componenti slovene nei confronti della Jugoslavia tra il 1918 e il 1924.
14) Adesione del proletariato sloveno ai movimenti intemazionalisti a guida italiana tra le due guerre.
15) Adesione degli sloveni ad altre componenti partitiche italiane dopo il 1920.
16) Diversità di posizioni fasciste nei confronti degli sloveni, durante il ventennio.
17) Forme di collaborazione degli sloveni col fascismo.
18) Resistenza popolare e dei ceti medi italiani nei confronti della politica snazionalizzatrice fascista indirizzata contro gli sloveni.
19) Confluenza italo-slovena nei diversi movimenti antifascisti prima del 1941.
20) Analisi di tutti gli atti di violenza operati dalle due parti nazionali a cavallo del confine durante il ventennio fascista.

Si tratta evidentemente di studi preliminari, atti a ben valutare gli antefatti della guerra e del secondo dopoguerra.
A questo punto però il discorso si fa più complesso. Per il periodo 1941-54 gli storici della commissione non si sono più trovati nella possibilità di mediare tra posizioni storiografiche certamente datate, ma pur sempre dignitosamente accademiche. Hanno dovuto duramente tracciare una linea mediana tra due tesi puramente politiche, non sempre contrapposte. quella italiana per lo più di derivazione quietistica e anti-fascista, quella slovena di derivazione jugoslavistica, corretta da un revisionismo parziale e da un anti-comunismo dell'ultim'ora.

Ne è uscito un testo totalmente squilibrato che, ad esempio,
1) Compara situazioni del tutto inaccostabili (le angherie dei Carabinieri in Val Natisone con i misfatti sanguinari dell'OZNA).
2) Sottovaluta la portata epocale di fatti traumatici come le "cosiddette foibe istriane" del 1943 (sic).
3) Attribuisce responsabilità assurde a movimenti politici secondari ed estranei (per es. ai cominformisti, che avrebbero provocato in qualche modo l'accentuarsi della politica anti-italiana in zona B) .L'uso di un anticomunismo di maniera appare frequente nel documento, "quod fecerunt rubei, non fecerunt sclavoni".
4) Configura la situazione economica italiana del 1954 in modo idillicamente alterato, quale possibile movente dell'esodo istriano. Giova ricordare che il boom economico italiano fu successivo al 1960 e che il dopoguerra italiano fu contrassegnato per trent'anni da un altissimo grado di disoccupazione.
5) Crea strani parallelismi tra sloveni "tuttora irredenti", a Trieste e sulla costiera duinese, e istriani sloggiati dalle proprie sedi storiche ed esuli in Italia e nel mondo.
6) Ripete vecchi e sfatati motivi propagandistici come quello di un dilagante fascismo istriano.
7) Tratta le cifre con enorme disinvoltura in modo da creare strani bilanciamenti tra emigrazioni ed esodi (fatti avvenuti in tempi diversi e con motivazioni diverse). In base al documento è possibile addirittura intendere che il totale degli esuli sloveni dal 1918 in avanti avrebbe superato di diverse misure quello degli italiani (cento e più mila contro 27000).
8) Minimizza in maniera indegna l'importanza numerica e culturale della soppressa presenza italiana a Capodistria. Isola e Pirano, centri di civiltà italiana in epoche storiche nelle quali Lubiana, Celje e Maribor erano borghi e "mercati" di lingua prevalentemente tedesca Laibach, Cilli, Marburg an der Drau.
9) Accetta con disinvoltura il principio che gli italiani siano stati cacciati dalle loro sedi originarie dell'Istria quale compenso per il mancato conseguimento dell'unità nazionale degli sloveni ,con l'inclusione nella Slavia di Trieste e di Gorizia (città che, dice il documento ... ebbero potuto diventare maggioritariamente slovene alla vigilia della prima guerra mondiale). A parte l'assurdità di pretese storiche basate su delle pure illazioni, c'è da fare molta attenzione ad una ulteriore osservazione di parte slovena: "i croati hanno ottenuto, in Istria, tutto quanto desideravano"... Significa che Capodistria, Isola e Pirano sono insufficienti quale pretium doloris?
10) Infine, con una formula blandamente consolatoria (per la parte italiana), il documento constata come tutto sia capitato "come aspetto particolare del processo di formazione degli stati nazionali in territori etnicamente compositi che condusse alla dissoluzione della realtà plurilinguistica e multiculturale esistente nell'Europa centro e sud orientale"… Una bella affermazione; peccato che sia stata controfirmata da storici che sono partiti ripetendo il ritornello dell'impero asburgico "incapace di dare vita a un sistema politico che rispecchiasse nelle strutture statali la multinazionalità della società". Ma anche una strana confessione, da parte slovena: il comportamento della loro nazione, tra il 1945 e il 1954, sarebbe stato conforme a quello dei serbi, dei croati, degli albanesi ecc. ecc. nei successivi anni Novanta.

Il sostanziale fallimento della seconda parte. almeno, del "manuale concordato", ci pare evidente. L'impostazione ideologica degli storici sloveni non ha permesso di raggiungere delle conclusioni condivisibili, malgrado gli sforzi quietistici degli storici italiani o forse proprio per il loro sforzo di arrivare comunque a un documento siglato dalle due parti. Ma la attuale concezione slovena della storia nazionale, giustificabile in parte alla luce di una visione non ancora messa a fuoco delle responsabilità ideologiche degli intellettuali nei confronti della raggiunta indipendenza, potrà col tempo aggiornarsi e modificarsi; sarà quello il momento per riprendere il dialogo sui contenuti.
Il dialogo va però continuato non solo per rivedere la storia del periodo antecedente il 1941, sulle linee sopra delineate o su altre proposte dagli studiosi sloveni, ma per affrontare la causa principale dell'odierno fallimento nell'analisi della storia più recente, la mancanza di "fonti" incontrovertibili nel loro valore, dal 1941 in avanti, anzi, l'inquinamento di una parte delle stesse, ad impedire la ricostruzione delle vicende quali sono realmente accadute.
Per tali considerazioni riteniamo sia il caso di fare delle proposte per una metodica indagine archivistica "a tutto campo" dell'intera materia dei rapporti italo-sloveni, o più correttamente italo-jugoslavi in area italiana ceduta alla Slovenia , per il periodo successivo al 1941.
Ma poiché persiste al di là della frontiera italiana la tendenza a guardare con sospetto ogni ricercatore che si interessi dell'argomento, ove non rientri in certe categorie di benemeriti, e poiché la ricerca dei documenti più elementari e banali di tipo amministrativo sta diventando, oltre frontiera, oggetto di controllo e di boicottaggio, con adozione di formule defatiganti ben note agli utenti degli archivi, proponiamo che venga siglato tra gli organi responsabili dei paesi interessati un memorandum per il quale:
Ogni documento concernente le zone ex italiane diventi di dominio pubblico e venga messo volontariamente a disposizione di qualsiasi studioso, (sia o meno "ordinato" o riordinato" il relativo dossier).
Vengano effettuate, da parte di studiosi dei diversi paesi interessati, ricerche in comune sui fondi inesplorati, anche a livello ex federale.
Vengano effettuate pubblicazioni plurilingui, atte ad orientare i ricercatori delle diverse nazionalità sull'esistenza di dossier in argomento.
Nell'attesa dell'accordo, è essenziale che tutte le associazioni culturali italiane, slovene e croate, incluse le associazioni degli archivisti, si impegnino fin dora ufficialmente ad operare nel senso indicato, anche con scambio di notizie e aiuti, e con pressioni sui rispettivi governi ed istituti responsabili.

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