Convegno I.R.C.I. sul rapporto degli storici italo-sloveni

di Pierluigi Sabatti

La relazione degli storici italo sloveni sui rapporti tra Italia e Slovenia tra il 1880 e il 1956 non va intesa né come una storia ufficiale, né come un testo esaustivo sul complesso e delicato periodo.

Non è una storia ufficiale perché i due Governi non hanno voluto un documento che fissasse in maniera definitiva e inconfutabile quanto accaduto in quei decenni. Lo scopo era quello di invitare gli studiosi a ricercare insieme i momenti fondamentali. Nella travagliata storia dei due paesi per fissare una sorta di traccia dalla quale partire per future e più approfondite ricerche.

Io vedo quindi questo documento come un punto di partenza che cerca di sgomberare il campo dai preconcetti e dagli stereotipi per avviare un lavoro comune più sereno, che abbia come punto d'arrivol'individuazione di una realtà accettabile a tutti coloro che vivono su questo territorio.

Ma per capire meglio qual è stato l'intento che ha indotto i due Governi a varare la commissione mista di storici ed esperti è necessario fare un passo indietro.

L'idea è nata nel '90 nel consiglio comunale di Trieste che aveva approvato all'unanimità, con la partecipazione di tutte le forze politiche dall'allora MSI all'allora PCI, una mozione, primo firmatario il democristiano Giuseppe Depangher, nella quale si auspicava la costituzione di una commissione storica italo-jugoslava che prendesse in esame, appunto, la storia del rapporto fra i due Paesi nel periodo delineato.

Un'ansia di verità e di conoscenza che derivava da quella "rivoluzione" costituita dalla caduta del Muro di Berlino. Se si rileggono gli interventi dei consiglieri di allora, da Menia a Costa, si comprende come anche Trieste volesse abbattere i muri di incomprensione che fino ad allora avevano lacerato la città. Ma, come detto, si parlava di una commissione italo-jugoslava, che non potè mai vedere la luce. Infatti nelle more tra l'approvazione della mozione e il varo della commissione mista la Jugoslavia si era dissolta e, al suo posto, erano nati i nuovi stati nazionali, come la Slovenia e la Croazia.

Quando nel 1993 gli allora ministri degli Esteri italiano, Beniamino Andreatta, e sloveno, Lojze Peterle, decisero di dare il via alla commissione si videro costretti a raddoppiarla: fu infatti costituita una commissione italo-slovena, presieduta dal costituzionalista professor Sergio Bartole, per la parte italiana, e una commissione italo croata. Quest'ultima peraltro tenne soltanto un paio di riunioni e poi non se ne fece nulla. Va ricordato che all'epoca la Croazia era in piena guerra con la Serbia e aveva senz'altro altre cose alle quali pensare. Cominciò invece a lavorare la commissione italo-slovena.

Già questo fatto, va sottolineato, veniva a limitare l'operatività della commissione perché molti aspetti della storia italo-slovena sono strettamente connessi al fatto che la Slovenia faceva parte prima dell'impero asburgico, poi del Regno di Jugoslavia e successivamente della Jugoslavia di Tito, entità che indubbiamente costituivano il contesto nel quale la Slovenia agiva, con maggiori o minori possibilità di manovra. Ma questo è un aspetto che chiariranno gli storici.

Dal canto mio, limitandomi alla cronaca dell'attività della commissione mista italo-slovena, posso aggiungere che i lavori continuarono fino al 1996 quando subirono una battuta d'arresto perché il professor Bartole, avendo assunto altri incarichi incompatibili con il mandato di presidente della commissione, dovette rassegnare le dimissioni. Va aggiunto che anche lostorico triestino Elio Apih fu costretto a lasciare per ragioni di salute e che l'immatura scomparsa dello scrittore Fulvio Tomizza depauperò la commissione di un altro illustre componente.

Nel '96 dunque i lavori si arenarono e poterono riprendere oltre un anno e mezzo dopo per l'intervento congiunto di due sottosegretari agli Esteri, lo sloveno Franco Juri, e l'italiano Umberto Ranieri. Venne designato un nuovo presidente, per la parte italiana, il professor Giorgio Conetti, docente di diritto internazionale, vennero sostituiti Apih e Tomizza e la Commissione, costituita oltre che da Conetti, dagli storici Angelo Ara, Fulvio Salimbeni, Raoul Pupo, Marina Cattaruzza, dal senatore Lucio Toth dell'Associazione Venezia Giulia e Dalmazia e da Paola Pagnini, ordinario di geografia a Trieste (per la parte italiana), riuscì a completare i suoi lavori nel luglio del 2000, quando il testo venne consegnato ai rispettivi ministeri degli Esteri.

Da allora il testo giace nei cassetti dei due dicasteri. Va detto che il governo sloveno ha più volte sollecitato la controparte italiana a rendere pubblico questo testo, ma la Farnesina non ha finora ritenuto di farlo.

Nel frattempo ci furono sollecitazioni anche da parte della società civile a conoscere il contenuto del documento.Non ultimo l'appello sottoscritto da una trentina di intelletuali, politici e giornalisti del Litorale sloveno, inviato in marzo ai due ministeri, e l'ordine del giorno presentato in Parlamento a Roma dal deputato diessino pordenonese, Antonio Di Bisceglie.

Ma non si mosse nulla e le resistenze continuarono a venire dalla parte italiana. Finché il bisettimanale sloveno "Primorske Novice" non pubblicò il 23 marzo scorso la bozza dei lavori della commissione mista. Va detto che non si trattava del testo del testo definitivo, anche se il giornale sloveno non lo disse esplicitamente, ma appunto della bozza sulla quale gli storici lavorarono. Pubblicazione che non piacque agli storici sloveni, tanto che la presidente Milica Kacin-Wohinz inviò una lettera nella quale specificava chiaramente che di bozza si trattava.

La ritrosia della Farnesina a rendere pubblico il rapporto costituì un ghiotto argomento per gran parte della stampa nazionale. Il ministero degli Esteri affermò che avrebbero dovuto essere gli storici a farsi promotori della sua pubblicizzazione; il presidente della commissione, Conetti , replicò che il loro mandato era quello di elaborare un documento, il cui utilizzo spettava al ministero.

Per evitare ulteriori speculazioni su un documento che avrebbe dovuto proprio fronteggiare strumentalizzazioni, il sottoscritto riuscì ad ottenere il testo integrale che venne pubblicato sul "Piccolo" il 4 aprile del 2001. Contemporaneamente lo pubblicò in sloveno il "Primorski Dnevnik", che lo ottenne dalla professoressa Wohinz. Il quotidiano sloveno aveva appreso dall'Ansa il 3 aprile che il "Piccolo" avrebbe pubblicato il giorno dopo il documento e fece appello alla docente per avere la versione slovena.
Era giusto che l'opinione pubblica potesse conoscere i contenuti del documento e trarne un giudizio.

Perché la Farnesina aveva tante esitazioni? Francamente non sono riuscito a capirlo. Si era parlato di inopportunità della sua pubblicazione visto che prima c'erano le elezioni in Slovenia e poi quelle in Italia, illazioni peraltro respinte dal sottosegretario agli Esteri Ranieri.Io credo che, come al solito, quando si parla del confine orientale al ministero degli Esteri siano più preoccupati del necessario. Io ritengo infatti che l'opinione pubblica locale sia sufficientemente matura per giudicare con la propria testa. Tenendo anche presente che il documento è chiaramente frutto di un faticoso compromesso tra gli storici e non dice niente che già non si sapesse. Anzi forse questo è il suo limite.
Ma non compete a me dare un giudizio sui contenuti: io mi sono limitato alla cronaca di questo ennesimo "giallo" del confine orientale.

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