IN ESILIO. Atmosfere e propagande ...diverse

Dal 9 febbraio al 30 aprile 2023

Nei triestini che hanno vissuto consapevolmente gli anni Quaranta e Cinquanta c’è la precisa convinzione di essere stati protagonisti quando i grandi eventi hanno bussato ai loro usci. Non potrebbe essere diversamente con una società immersa in uno stato di guerra che si è protratto per un abbondante biennio, ben oltre la fine canonica delle ostilità, dalla primavera del 1945 alla tarda estate del 1947 e poi in lungo dopoguerra che si è arrampicato fino al cuore degli anni Cinquanta.

E qui accanto c’era la Jugoslavia di Tito, prima sodale di Mosca e poi in conflitto ideologico, eppure sempre comunismo era, innervato pure da forti pulsioni etniciste. La Venezia Giulia ha conosciuto non poche traversie storiche le cui radici affondano negli ultimi decenni deII’Ottocento.

Venezia Giulia: spazio di frontiere tra Europa e Mediterraneo attraversato da confini materiali e immateriali, visibili e invisibili, dolorosi per chi li subisce, rassicuranti per chi vuole sentire protetto. Comunque, volubili. Confini che sono stati tracciati e spostati almeno sei volte tra il 1915 e il 1954 e nello spazio circoscritto di una cinquantina di chilometri. Confini che hanno marcato il territorio e segnato nel profondo la percezione dell’altro e la mentalità comune. E’ stato il tempo delle contrapposizioni più aspre: noi-loro, noi-voi, i "no- stri" e gli "altri”. I ’talioni e i druzi, e non si sa dov'era vera amicizia o disprezzo. La "fratellanza italo-slava" e l’"italianità”: nei due concetti contrapposti c'è il senso della guerra dei Mondi scatenata a Trieste e in ciò che le rimaneva.

C’è stato un tempo in cui quei confini invisibili, ben piantati nella testa della gente e altrettanto percepiti, hanno pure diviso la città ripopolata nel dopo- guerra dagli esuli deII’lstria, Fiume e Dalmazia, sradicati e straniati che nulla chiedevano se non di comprendere la loro condizione di provvisorietà e di mestizia e il desiderio di rifarsi un’esistenza.

La mostra immerge il visitatore nel clima di allora e propone una lettura comparativa tra quei mondi contrapposti che si misuravano a colpi di propaganda, spesso diretta e spregiudicata ma anche sottile e subliminale. Una contrapposizione che ha il suo nerbo neIl’aspro confronto anticomunismo- comunismo ma di fatto tra sistemi liberaldemocratici e sistemi popolari socialisti: visioni diametralmente opposte. E un gioco degli specchi in cui si riflette la propaganda largamente adottata nel secondo dopoguerra nella Venezia Giulia e poi in particolare nella Zona A del Territorio Iibero di Trieste con una cadenza e una cronologia che vanno tenute da conto.

Il trattato di pace del 10 febbraio 1947 siglato a Parigi, entrato in vigore il 15 settembre 1947, assegnava aII’ItaIia Gorizia e la residua provincia, Pola, Fiume e Zara alla Jugoslavia oltre a tre quarti del territorio regionale. Sulla porzione residua veniva stabilita la costituzione del Territorio libero di Trieste, a sua volta diviso in Zona Anglo-americana e Zona B all‘amministrazione militare jugoslava con gli affari civili assegnati al Comitato popolare distrettuale deII’Istria, di fatto espressione unica del Partito comunista jugoslavo. Fino al 1º agosto 1948 il Governo militare alleato mantenne il controllo civile su Trieste, rinviando le elezioni amministrative all'anno successivo in quanto le tensioni politiche presenti non davano sufficienti garanzie. Solo dopo quella data nella Zona britannico- statunitense del Territorio Iibero di Trieste si furono delle modifiche, poi culminate con le elezioni amministrative comunali del 12 giugno t949. La situazione rimase inalterata fino al 9 maggio t952 quando con il primo Memorandum di Londra l'apparato amministrativo centrale della Zona A ebbe l’inserimento di funzionari nominati dal governo italiano. Poi l’ultimo biennio, contrassegnato anche da crescenti tensioni tra Italia e Jugoslavia, tra i circoli nazionali italiani e il Governo militare alleato fino ai luttuosi incidenti del novembre ’53, non ultima stazione del Golgota giuliano, perché al secondo Memorandum di Londra del 5 ottobre 1954 e alla restituzione della Zona A all’amministrazione italiana seguì un ultimo grande esodo dalla Zona B il cui destino era inevitabilmente segnato. Trieste era diventata città del dolore: degli esuli dai territori ceduti, dei profughi dalla Zona B del Territorio libero, di coloro che fuggivano ad Occidente dai Paesi sotto i regimi nazionalcomunisti; dei campi di raccolta profughi ricavati pure nel Silos ferroviario da cui erano passati gli internati militari e nella Risiera di San Sabba, il Polizeihaftlager nazista, ultimo indirizzo conosciuto prima dell'eliminazione o della deportazione nei campi di sterminio. Era la città dell’angoscia per i troppi offesi, umiliati, dispersi, morti, deportati. Pure dalla Jugoslavia di Tito. E lo sarà per molto tempo, fino all’esaurirsi del Novecento. Ma non si deve rimuovere quella memoria e tantomeno relativizzarla. Nessun settore e nemmeno segmento della società sembra estraneo al fatto più evidente: tutto è diviso e tutto è doppio. Per fare un solo esempio, due i campionati di calcio di serie A, la Triestina in quello italiano - anche se dovrà giocare per un po’ a Udine causa le minacce politiche - e I'Amatori Ponziana in quello jugoslavo. Ma se doppio è Io sport, altrettanto vale per le altre espressioni culturali di massa, dal teatro al varietà, dalla musica al cinematografo dove, a Trieste, si proiettavano pure film sovietici in versione originale, altrove invisibili. Tutto doppio ma anche triplo, come dopo la rottura tra Stalin e Tito, l'espulsione della Jugoslavia dal Cominform (28 giugno 1948), per cui dal 1949, il Primo Maggio sarà celebrato in tre manifestazioni distinte: quella della Camera del lavoro, quella della CgiI ortodossa comunista e quella dei comunisti filo jugoslavi che ben presto indosseranno in panni di un fumoso movimento indipendentista per poi passare armi e bagagli in un altro di ispirazlone socialista e transitare infine nel Partito socialista italiano; tanto così per confondere le idee.

Manifesti murali; brossure e pubblicazioni realizzate con larghezza di mezzì, volantini di ogni dimensione e coloritura, stampa quotidiana e periodica la cui tiratura era superiore alla stessa capacità di ricezione locale, invadono tutti gli spazi. Non mancano i giornali satirici italiani e slavi, scorrettissimi e diretti a colpire I’avversario fino alla contumelia. Anticomunismo, italofobia, antititoismo, anglofobia, slavofobia: un tutti contro tutti per distinti campi in cui c’è sempre un ”noi" e un “voi". Tutto è vissuto con una passione sicuramente aderente allo spirito del tempo. Infatti, è interessante osservare come dalla seconda metà del 1948 nella propaganda filojugoslava scompaia ogni riferirnento aII’Unione sovietica e al Paese guida del movimento comunista, e quanto invece emergano il ruolo di Tito e le bandiere rosso stellate slovene, croáte e degli italiani deIl’Istria jugoslava.

Si era detto per quei tempi che Trieste soffriva di isolamento e insularità: le condizioni in cui Ie vicende storiche l’avevano posta nel corso del Novecento confermavano quella constatazione. Ma la Storia le ha assegnato un qualche altro compito di cui ancora non conosciamo esito e sviluppi. Meditando su quei tempi di divisione e di scontro, i triestini antichi e nuovi sappiano trarre i migliori auspici e l'insegnamento per un presente diverso.